La conta dei salvati 2013
Nelle relazioni tra i popoli la guerra è talmente ricorrente da essere assunta a principale criterio della loro narrazione storiografica. Di contro, le manifestazioni di segno opposto, quantitativamente meno copiose, occupano lo spazio marginale dell’eccezionalità. Nel libro La conta dei salvati al quale si assegna oggi il Premio Omegna, Anna Bravo ribalta tale logica resocontistica e sostituisce al computo del sangue versato (in un ambito di indagine che spazia dall’Europa della Grande Guerra al Kosovo al Tibet) il conteggio del sangue risparmiato, nella convinzione che – come ben sintetizza il risvolto di copertina del volume – “è un’idea malsana che quando c’è guerra c’è storia, quando c’è pace no”.
Capovolgendo intelligentemente la prospettiva usuale di lettura degli accadimenti del secolo scorso e dell’oggi presi in esame, il libro fruga nelle pieghe della storia con uno scandaglio minuzioso e pazientemente certosino per recuperare dal cono d’ombra della dimenticanza, della rimozione o della trascuratezza, atti concreti di conciliazione e solidarietà, siano essi singoli e anonimi oppure collettivi; compiuti da persone ignote o da capi carismatici. Con la somma di tali gesti, di cui si ricostruisce la tracciabilità – e insieme la genealogia, nonché la variegata gamma – emerge la trama sotterranea e negletta dei fatti consegnati alle cronache degli annali: ossia l’insieme dei tanti fili discontinui e nascosti che compongono il rovescio della superficie che ha l’arazzo nel racconto dell’ufficialità.
Siamo dunque di fronte a una riscrittura della storia che, a partire dalla ricerca di un suo canovaccio diverso da quello della catena di ostilità quale unico motore degli eventi, si presenta suggestivamente innovativa anche nei confronti del genere manualistico in cui si inscrive. Già i titoli insoliti dei capitoletti attestano, come tanti cartelli indicatori, l’originalità della direzione percorsa: partendo da un sapere squadernato al suo massimo grado con la densità dei riferimenti bibliografici e con la ricchezza del tradizionale apparato di note, i dati della conoscenza vengono sottoposti a un’interrogazione continua da un illuminante taglio interpretativo che alla ‘dottrina’ da addetta ai lavori intreccia la curiosità per risvolti inediti, l’attenzione per le microstorie e le loro ragioni nascoste, un’ottica di genere e uno sguardo da militante.
Scaturisce dall’incrocio di tali linee prospettiche una visione nuova dei fatti e dei comportamenti delle figure evocate, alla quale dà corpo un linguaggio appassionato e appassionante, grazie al quale gli episodi dell’operosità del bene rivelano tutta la loro potenza di simbolo di una forza interiore che soppianta “i rapporti di forza” e trasforma la propria eccezionalità in seme capace di attecchire e moltiplicarsi.