Uomini e Caporali 2009
Il libro-inchiesta compie un viaggio tra i nuovi schiavi arruolati dal caporalato nei campi di raccolta dei pomodori nel Tavoliere delle Puglie. Una storia di sfruttamento, umiliazioni, pestaggi e riduzione in schiavitù di decine di extracomunitari soprattutto africani e di neocomunitari, rumeni o polacchi, attirati nel Sud d’Italia con il miraggio di un lavoro e di un compenso.
Premio Scaffale
Dunja Badnjević per “L’isola nuda” – Bollati Boringhieri
Un libro di memorie e insieme romanzo, che è la storia di una generazione segnata dalle tragiche vicende dell’ex Jugoslavia. Un’opera prima in cui Dunja Badnjevic, a distanza di più di vent’anni dalla morte del padre, spezza il crudele incantesimo del silenzio, della memoria negata, e inizia un lungo viaggio. È un percorso intrapreso per ritrovare la figura paterna e insieme, senza ipocrisie, la storia della sua famiglia (serbo-croata-bosniaca, quanto di più simbolico poteva esistere in terra jugoslava): una storia che si dipana nell’arco di un secolo, ma più dettagliatamente negli ultimi sessant’anni del Novecento. Al centro, il lager di Goli Otok (l’Isola Nuda), tristemente noto a chi si occupa di storia dell’Est europeo come la Kolyma del Mediterraneo. Lì vi fu rinchiuso per alcuni anni il padre dell’autrice, convinto internazionalista “epurato” da Tito dopo lo strappo con l’Urss nel 1948. Sul soggiorno a Goli Otok, Esref Badnjevic lasciò un diario di cui ampi brani vengono riportati nel racconto diventando così una specie di volano per la storia narrata che si snoda attraverso una serie di oscillazioni continue tra passato e presente.
Menzione Speciale
Kazimierz Moczarskiper per “Conversazioni con il boia” – Bollati Boringhieri
«Amici lettori mi hanno spesso domandato se, ripensando al passato, io non abbia rimpianto il tempo “sprecato” in prigione. A chi interessasse saperlo rispondo di no. […]In quegli anni la prigione conferiva a chi vi era rinchiuso il privilegio di una situazione chiara, semplice e ben definita. Una simile posizione favorisce il restare tenacemente attaccati ai principi, impedendo di cedere alle circostanze e alla necessità di barcamenarsi, che può facilmente trasformarsi in opportunismo.
Comunque, quelli che assolutamente non rimpiango sono i duecentocinquanta-cinque giorni di carcere trascorsi conversando con Jürgen Stroop e Gustav Schielke»
Questa conclusione, censurata nelle cinque edizioni di Conversazione con il boia uscite in Polonia tra il 1977 e il 1985, offre una buona sintesi della dirittura morale dell’autore, Kazimierz Moczarski (Varsavia 1907-1975), giornalista entrato in clandestinità dopo l’occupazione tedesca, che prese parte alla lotta partigiana nelle formazioni non comuniste e che per questa ragione fu rinchiuso in carcere nell’agosto 1945 per uscirne riabilitato – dopo numerose torture una condanna a morte con successiva riduzione all’ergastolo – solo nel 1956. Undici anni di carcere di cui 255 giorni (dal 2 marzo all’11 novembre 1949) trascorsi in cella con il generale delle SS Jürgen Stroop, responsabile tra l’altro della liquidazione del ghetto di Varsavia e Gustav Schielke sottoufficiale della squadra della buoncostume. Kazimierz Moczarski ha dedicato il resto della sua esistenza a ricostruire, verificando ogni cosa con ricerche d’archivio, le conversazioni con i due criminali di guerra, dando vita non solo a un documento straordinario per i dati che emergono su ogni capitolo della vita di Stroop e della storia tedesca, ma a un’opera letteraria (anche se l’autore nega con risolutezza che lo sia), quasi teatrale, che proprio per il suo carattere secco e protocollare risulta di fortissimo impatto emotivo.